Texts



Stefano rosselli:
Trasmissione condivisione partecipazione trasformazione stupore insistenza produzione indagine ritrovamento gratitudine apertura contenimento visione ricostruzione ripercussione riscoperta fede.

Alessandra Bruno, 2021

(Ita)
Bisogna crederci per farlo. Crederci a fondo, fin nel midollo. Per segnare e colorare la carta, per incidere il rettangolo bianco del foglio, tracciare il primo di una serie di gesti grafici, calcando una traccia visibile, una alla volta, farsi largo da un punto, spingendo avanti tutta quella luce da soli.
Come, da quell’unità ortogonale di candore immacolato, crederci, tanto da avventurarsi alla ricerca del modo di realizzarne un’altra versione, lanciarsi alla creazione viva di una nuova e diversa unità? Come trasmetterla attraverso frammenti raccolti di senso, rigenerati nei loro infiniti e possibili incontri? Ci vuole fede, oggi, a lavorare come Stefano Rosselli.
I contro potrebbero vincere facile, ma la forza indagatrice del suo segno è vertiginosa.
Ricostruisce e riscopre una via visiva che punto per punto ripercorre scenari noti ma imperscrutabilmente per sempre inesplorati, con un fare aperto, capace di disintegrare la batteria ai ticchettii tormentosi delle regole affisse ai paletti dell’arte contemporanea milionaria.
Fare così perché farne a meno non esiste è uno dei perché dello Stefano Rosselli disegnatore.
Per chi? Per noi insieme a lui. Per poter realizzare insieme. Per condividere, farci partecipare allo stupore per le forme dei progetti che ci contengono e che abitiamo.
Per come sono costruite e tenute insieme, le forme del comune esoscheletro, un pezzo alla volta, per i loro caratteri individuali e per l’influenza che hanno sullo spirito delle generazioni. Anche loro un giorno sono state disegni su carta.
Il gesto artistico di Stefano Rosselli oggi, ripercorre quello del visionario edificatore di ieri, con la gratitudine fattiva dell’ospite invitato ad abitare a tempo indeterminato in un caleidoscopio osmotico.
Ne riporta alla sua materia d’origine il genio creatore, per rifletterne la grandezza, in una eco strutturale di devozione ultraterrena.
I soggetti che ricrea, gli spazi nei quali ci invita ad accompagnarlo per condividerne la meraviglia della riscoperta, sono stanze, edifici, strade, piazze, piani, spazi di vita, uno dentro l’altro come gli uni accanto agli altri, interconnesse unità multiple, affidate all’assoluto della luce.
Sfuse, equilibratamente sparpagliate in forma di tasselli cromatici color caramella.
Categoria di colori terapeutici: inestimabile fin dai tempi della lira. Ogni centimetro quadrato dei fogli di Stefano Rosselli ha l’eloquente dignità narrativa di un’opera a sé stante.
Niente di quello che racconta è secondario. Tutta la superficie tessuta dal suo sguardo, dice e ridice e ridice. La sua partecipazione all’eventualità urbana si esprime insistentemente, con tutta l’anima del suo farne arte.
Ne trasmette con il suo DNA d’artista la funzione vitale dell’espirazione: la metà del respiro più coraggiosa, quella che restituisce l’aria a sé stessa. Stefano Rosselli, artista del contemporaneo, rivisita e condivide l’aria del tempo nostro, ci invita a farci caso, a guardarla bene e a riguardarla.
I suoi strumenti di lavoro sono quello che Frances McDormand ha rappresentato all’Oscar 2021: l’antidiva che vince. Usa gli acquerelli, i pastelli, pennarelli, inchiostri.
I formati dei suoi lavori sono da tavolo. Lavora su fogli di carta, da casa sua per casa nostra, continuamente.
È il suo occhio ad essere infinito, non il suo ego.
Sono grata di avere, grazie alla coda del mio, percepito l’emozione che mi ha fermata sulla strada di casa e spinta ad entrare a vedere la sua bellissima mostra un pomeriggio di qualche anno fa e di poterlo scrivere oggi.
Stefano Rosselli:
Transmission sharing participation transformation amazement insistence production investigation discovery gratitude openness containment vision reconstruction repercussion rediscovery faith.

Alessandra Bruno, 2021

(Eng)
You have to believe in it to do it. To believe in it deeply, to the core. To mark and colour the paper, to carve the white rectangle of the sheet, to trace the first of a series of graphic gestures, tracing a visible track, one at a time, making your way from one point, pushing all that light forward alone.
How, from that orthogonal unit of immaculate whiteness, to believe in it, to venture out in search of a way to make another version of it, to launch into the living creation of a new and different unit? How to transmit it through collected fragments of meaning, regenerated in their infinite possible encounters? It takes faith, today, to work like Stefano Rosselli.
The cons might win easily, but the investigative force of his sign is dizzying.
He reconstructs and rediscovers a visual route that, point by point, retraces scenarios that are known but inscrutably forever unexplored, with an open-ended manner, capable of disintegrating the battery of the tormenting ticks of the rules affixed to the stakes of millionaire contemporary art.
Doing so because 'doing without' is one of the whys of Stefano Rosselli the draughtsman.
For whom? For us together with him. To be able to realise together. To share, to make us share in the amazement of the forms of the projects that contain us and that we inhabit.
For how they are built and held together, the forms of the common exoskeleton, one piece at a time, for their individual characters and for the influence they have on the spirit of generations. They too were one day drawings on paper.
Stefano Rosselli's artistic gesture today echoes that of the visionary builder of yesterday, with the active gratitude of the guest invited to dwell indefinitely in an osmotic kaleidoscope.
He brings the creative genius back to its source material, to reflect its greatness, in a structural echo of otherworldly devotion.
The subjects he recreates, the spaces in which he invites us to accompany him in order to share the wonder of re-discovery, are rooms, buildings, streets, squares, planes, spaces of life, one inside the other as if next to each other, interconnected multiple units, entrusted to the absolute of light.
Loosely, evenly scattered in the form of candy-coloured colour blocks.
A category of therapeutic colours: invaluable since the days of the lyre. Every square centimetre of Stefano Rosselli's sheets has the eloquent narrative dignity of a work in its own right.
Nothing he narrates is secondary. The whole surface, woven by his gaze, says and laughs. His participation in the urban eventuality is expressed insistently, with all the soul of his making of art.
He transmits with his artist DNA the vital function of exhalation: the bravest half of the breath, the one that returns air to itself. Stefano Rosselli, an artist of the contemporary, revisits and shares the air of our time, invites us to pay attention to it, to take a good look at it and to look at it again.
His tools of the trade are what Frances McDormand portrayed at the Oscar 2021: the anti-diva who wins. She uses watercolours, pastels, markers, inks.
The formats of her works are tabletop. He works on sheets of paper, from his home to our home, all the time.
It is his eye that is infinite, not his ego.
I am grateful to have, thanks to the tail of mine, felt the emotion that stopped me on my way home and prompted me to go in and see his beautiful exhibition one afternoon a few years ago, and to be able to write about it today.



Interno Esterno
Paola Del Punta, 2021

(Ita)
Ho visto di recente la mostra di un giovane pittore Stefano Rosselli che già conoscevo per aver visitato una sua precedente esposizione dedicata a Milano, la sua città, in cui il suo sguardo ci portava ad esplorare una città a noi sconosciuta.  Ora il tema è più intimo, é il tema dell’interno ed esterno, la sua casa e il fuori che questi due anni di restrizioni ci hanno negato: i quadri esposti sono tutti datati 2020-2021.
Ancora una volta in modo originale Stefano Rosselli riesce a rappresentare una realtà  complessa: colori e segni si intersecano, disegnano oggetti, piante, libri, visioni vicine e lontane, un palazzo entra nella stanza senza pareti, il dentro e il fuori si compenetrano così come tra di loro gli oggetti della vita quotidiana, sembra di vedere la realtà attraverso un caleidoscopio.
Una fitta ragnatela di segni percorre la superficie e i colori, quelli della luce, senza chiari scuri sono disposti uno accanto all’altro come in una tavolozza e solo  per mezzo di un sapiente accostamento restituiscono la profondità dello spazio.
In questo consiste la  sua ricerca: farci vedere la realtà della pittura nello stesso modo in cui vediamo la realtà del mondo in cui ci muoviamo.  Dobbiamo percorre la tela  con lo sguardo poco a poco per districarci tra segmenti di colore e segni e distinguere oggetti, spazi, per vedere una realtà che non è immobile e nella sua completezza fissata sul cartoncino perché siamo noi che la  scopriamo  attimo dopo attimo.
Se è vero che ogni cosa che guardiamo la guardiamo con gli occhi della propria consapevolezza a me sembra di vedere anche una rappresentazione della realtà  nella relazione di interdipendenza tra gli oggetti,  una realtà  nel suo continuo cambiamento.

Interior Exterior
Paola Del Punta, 2021

(Eng)
I recently saw the exhibition of a young painter Stefano Rosselli, whom I already knew from a previous exhibition of his dedicated to Milan, his city, in which his gaze took us to explore a city unknown to us. Now the theme is more intimate, it is the theme of inside and outside, his home and the outside that these two years of restrictions have denied us: the paintings on display are all dated 2020-2021.
Once again in an original way Stefano Rosselli succeeds in representing a complex reality: the colors and signs intersect, drawing objects, plants, books, visions near and far, a palace enters the room without walls, the inside and the outside interpenetrate as well as the objects of everyday life among them, it seems to see reality through a kaleidoscope.
A dense web of signs runs across the surface and color, those of light, without light darks are arranged next to each other as in a palette and only by skilful juxtaposition do they restore the depth of space.
In this consists his quest to make us see the reality of painting in the same way that we see the reality of the world in which we move. We have to travel the canvas with our gaze little by little to untangle segments of color and marks and distinguish objects, spaces, to see a reality that is not motionless and in its completeness fixed on cardboard because it is we who discover it moment by moment.
If it is true that everything we look at we look at it with the eyes of our own awareness to me we also seem to see a representation of reality in the relationship of interdependence between objects, a reality in its continuous change.





Un’altra Milano
Mariana Siracusa, 2018

(Ita)
Sessant’anni fa Milano era una città diversa, fredda forse, ma anche vibrante di lavoro e animata da una folla che si rinnovava di continuo. “Io venivo a Milano come si va alla Mecca: per rendere il mio tributo a una città di eccezione,” scriveva Montale. I simboli della modernità erano ancora in costruzione: la metropolitana, le sedi delle industrie, la fiera, l’aeroporto, e soprattutto le torri in acciaio, cemento e vetro che avrebbero cambiato il paesaggio urbano. Questa Milano nuovissima, grande e democratica, che continuava a estendersi sulla pianura è stata documentata dalla fotografia in bianco e nero. Nei giorni di pioggia, quando la nebbia smorza i toni e i marciapiedi e le pareti degli edifici hanno assorbito l’umidità dell’aria, la ritroviamo nella città contemporanea e si ha la sensazione che i personaggi provenienti dalle fotografie di Ugo Mulas, Paolo Monti o Berengo Gardin possano apparire dietro l’angolo in qualsiasi momento. Rivediamo il grattacielo Pirelli, le torri Velasca, Breda, Galfa e INA sotto la stessa luce. Gio Ponti, BBPR, Luigi Mattioni, Melchiorre Bega, e Piero Bottoni hanno costruito con la consapevolezza che anche il loro ora era parte della storia. E Milano ha incorporato e assorbito i nuovi edifici quasi istantaneamente tanto che oggi non riusciamo più a ricordare cosa ci fosse al loro posto.
Ma siamo tutti testimoni di qualcosa. Oggi come ieri, Milano incorpora nuove torri, nuove istituzioni, nuove linee della metro, nuovi parchi, nuove piste ciclabili. E se le immagini di ieri erano in bianco e nero, quelle di oggi sono a colori. Abbiamo visto i binari dei treni diretti a Varese sostituiti prima con il Luna Park e poi con i cantieri delle torri Unicredit, Solaria e Diamante. Abbiamo guardato con speranza gli scavi e le impalcature della Torre Lombardia, del Bosco Verticale, della Fondazione Feltrinelli, e delle torri Allianz, Hadid e Prada. “Come tutti i miraggi, la città del sole non sorge mai completamente,” ha scritto Giorgio Soavi. Milano continua ad essere un luogo di immagini precarie ed effimere, dove finito e non finito si sovrappongono e si confrontano.
Ritroviamo questo dialogo denso nei paesaggi milanesi di Stefano Rosselli. Nella sua città ritroviamo il blu, verde, rosso e giallo della casa di Gio Ponti in via Dezza, gli oli saturi dei quadri di Egidio Bonfante, il giallo delle Jumbo di Alberto Rosselli, e i variegati delle fotografie di Paolo Rosselli.
Nei disegni di Stefano c’è tutta l’energia dell’ora, del nuovo: le strade sono più verdi, i cieli sono rosa, e le facciate cangianti. Anche gli interni, abitati da oggetti familiari e quotidiani, hanno una pigmentazione particolarmente intensa, quasi a dimostrazione che la storia è sempre presente, stratificata nell’intimità delle nostre case. Quello che vediamo sulla carta risulta importante quanto quello che gli occhi e la mano non hanno ancora avuto il tempo di registrare. Dove il tratto appare più leggero e il colore è una velatura appena accennata c’è il futuro in costruzione.

Another Milan
Mariana Siracusa, 2018

(Eng)
Sixty years ago Milan was a different city, an unfeeling one perhaps, but also vibrant with work and animated by a continually renewed multitude. ‘I came to Milan the way one goes to Mecca: to pay my tribute to an exceptional city,’ wrote Montale. The symbols of modernity were still under construction: the Metro, the industrial facilities, the trade fair, the airport and above all the steel, concrete and glass towers that were going to change the urban landscape. This brand new, big and democratic Milan, which continued to spread over the surrounding plain, was documented with photographs in black-and-white. On rainy days, when mist dims the tones and the pavements and the walls of buildings absorb damp from the air, we find it again in the contemporary city and we have the sensation that the figures we have seen in the photographs of Ugo Mulas, Paolo Monti or Berengo Gardin might appear round the corner at any moment. We see the Pirelli skyscraper and the Velasca, Breda, Galfa and INA towers under the same light. Gio Ponti, the BBPR, Luigi Mattioni, Melchiorre Bega and Piero Bottoni constructed with the awareness that their now was also part of history. And Milan incorporated and absorbed the new buildings almost instantaneously, so much so that today we can no longer remember what used to stand in their place.
But we are all witnesses of something. Now, as in the past, Milan is absorbing new towers, new institutions, new Metro lines, new parks, new cycleways. And while yesterday’s images were in black and white, today’s are in colour. We have seen the tracks of the train line to Varese replaced first by an amusement park and then by the construction sites of the Unicredit, Solaria and Diamante towers. We have watched hopefully the digging of the foundations and the erection of the scaffolding for the Torre Lombardia, the Bosco Verticale, the Fondazione Feltrinelli and the Allianz, Hadid and Prada towers. ‘Like all mirages, the city of the sun never rises completely,’ Giorgio Soavi has written. Milan continues to be a place of unstable and ephemeral images, where finished and unfinished overlap and meet.
We find this close dialogue in the Milanese landscapes of Stefano Rosselli. In his city we rediscover the blue, green, red and yellow of Gio Ponti’s home on Via Dezza, the intense oil colours of Egidio Bonfante’s pictures, the yellow of Alberto Rosselli’s Jumbo, and the variegated hues of Paolo Rosselli’s photographs. In Stefano’s drawings there is all the energy of the now, of the new: the streets are greener, the skies are pink and the facades shimmer. Even the interiors, inhabited by familiar, everyday objects, have a particularly intense pigmentation, as if to demonstrate that history is always present, stratified in the intimacy of our homes. What we see on the paper is as important as what the eyes and the hand have not yet had time to register. Where the line appears lighter and the colour is a barely visible veil, it is there that the future is under construction.



Stefano Rosselli
Manuel Orazi, 2018

(Ita)
Nell’eterna lotta intestina alla pittura italiana tra le fazioni contrapposte dei sostenitori del colore e quelli del disegno, Stefano Rosselli ha sposato la posizione dei primi senza esitazioni. Pur essendo agli esordi come pittore, e quindi, almeno in parte, necessariamente brado e sorgivo, i suoi pastelli abbracciano perlopiù paesaggi urbani e alcuni ambienti intimi, interni o esterni come un terrazzo coltivato; i quadri si distinguono per le tonalità dei colori: freddi per il nord Europa, caldi per Milano, caldissimi per le stanze dell’infanzia in via Aurelio Saffi popolate da oggetti e arredi legati a memorie famigliari. Osservandoli attentamente è impossibile non pensare all’uso divisionista dei colori impostato dal primo Giacomo Balla e dal suo allievo diretto, l’Umberto Boccioni prefuturista. Tuttavia nelle vedute milanesi di Rosselli non vediamo tanto “la città che sale”, l’irruenta mutazione della metropoli denunciata un secolo prima di lui da Boccioni, quanto l’assimilazione completa delle nuove architetture - Porta Nuova, City Life, ecc. Queste sono poste in una naturale relazione con edifici precedenti come la torre al parco di Vico Magistretti o la torre Branca di Gio Ponti all’interno di una visione urbana totalmente pacificata, né nostalgica né ottimistica.
Vista l’insistenza autobiografica dei soggetti, dei luoghi e delle architetture scelte da Rosselli, si potrebbe proseguire su questa linea interpretativa individuando nell’opera del nonno materno Egidio Bonfante un altro riferimento sicuro, latore di una nota coloristica più vivace perché veneto-bizantina. Tuttavia ciò che conta sottolineare nell’opera ancora embrionale di Rosselli è la responsabilità della sua linea di condotta pittorica cioè della sua visione che è tanto più stimolante quanto è meno realista.
Come scrisse Carlo Ludovico Ragghianti nel 1963 a proposito di Bonfante, “L’atto di coscienza che dà una forma al caos delle sensazioni, cioè a noi stessi come natura o mondo, come partecipazione immediata o inconscia al vitale, ordina il visibile con un intervento che è possesso, scelta, individuazione. Il visibile di per se stesso è indeterminato, polisenso, inespressivo. Il vedere gli dà una forma definita e definitiva, una consapevolezza, un significato che lo rende accessibile anche ad esperienze diverse da quelle dell’autore. La stessa funzione pratica o l’uso economico del visibile, che continuiamo a chiamare ancora natura o mondo, deriva e dipende da quella personalizzazione del visibile che lo ha reso espressione, coscienza, e perciò comunicazione”.

Stefano Rosselli
Manuel Orazi, 2018

(Eng)
In the eternal power struggle in Italian painting between the opposing factions of the champions of colour and those of drawing, Stefano Rosselli has taken the former’s side without hesitation. Despite being at the beginning of his career as a painter, and therefore at least in part necessarily wild and fresh, his pastels embrace for the most part urban landscapes and a number of more intimate settings, interiors or exteriors like a terrace filled with plants, His pictures are distinguished by the tone of their colours: cold for Northern Europe, warm for Milan and even warmer for the rooms of his childhood in Via Aurelio Saffi, peopled by objects and furniture linked to family memories. Observ- ing them attentively it is impossible not to think of the Divisionist use made of colours by the early Giacomo Balla and his pupil, the pre-Futurist Umberto Boccioni. Yet in Rosselli’s views of Milan we do not see so much ‘the city that rises’, the impetuous mutation of the metropolis denounced a century earlier by Boccioni, as a complete assimilation of the new works of architecture – Porta Nuova, City Life, etc. These are set in a natural relationship with earlier buildings like Vico Magistretti’s tower in the park or Gio Ponti’s Torre Branca, in an urban vision that is wholly at peace, neither nostalgic nor optimistic.
Given the autobiographical character of the subjects, of the places and buildings chosen by Rosselli, we could carry on along this line of interpretation by identifying another sure reference in the work of his maternal grandfather Egidio Bonfante, with its more vivid colouring of Venetian-Byzantine derivation. However, what needs to be emphasized in Rosselli’s still undeveloped work is the responsibility of his line of pictorial conduct, i.e. of his vision that is all the more stimulating the less it is realistic.
As Carlo Ludovico Ragghianti wrote of Bonfante in 1963: ‘The act of awareness that gives a form to the chaos of sensations, i.e. to ourselves as nature or world, as immediate or unconscious participation in the vital, brings order to the visible with an intervention that is possession, choice, individualization. The visible in and of itself is indeterminate, polysemous, inexpressive. Seeing gives it a definite and definitive form, a consciousness, a significance that makes it accessible even to experiences different from those of the author. The same practical function or economic use of the visible, which we go on calling nature or world, derives from and depends on that personalization of the visible which has made it expression, awareness and therefore communication.’




Un’altra Milano
Massimo Cecconi, 2018

(Ita)
Lo spazio espositivo che apre le sue luci su via Spallanzani si chiama tout court “Spazio” e avremo modo di parlarne prossimamente.
Ospita sino al 23 febbraio una mostra di disegni molto colorati di Stefano Rosselli, giovane artista (classe 1985) con studi di architettura e agraria che si esprime pienamente attraverso la pittura.
Di buona, anzi buonissima famiglia, conta tra i parenti più prossimi Gio Ponti, Egidio Bonfante, Alberto e Paolo Rosselli e questo vorrà ben dire qualcosa.
Stefano Rosselli reinterpreta a modo suo la realtà cittadina, caricando i suoi nitidi disegni di colori, lavorando con acquarelli, pennarelli, chine e pastelli a olio per restituire un’immagine di Milano oniricamente ottimista.
Personali sono le sue prospettive e i suoi punti di vista che pur non stravolgendo il reale reinterpretano i nuovi skyline milanesi con qualche rimando a Balla e Boccioni e persino a Seurat e Van Gogh in una prolifica visione d’insieme che tiene conto di un’eccitazione cromatica coinvolgente e condivisibile.
Scrive Mariana Siracusa, responsabile di “Spazio”, nella elegante brochure di presentazione della mostra: “Ritroviamo questo dialogo denso nei paesaggi milanesi di Stefano Rosselli. Nella sua città ritroviamo il blu, verde, rosso e giallo della casa di Gio Ponti in via Dezza, gli oli saturi dei quadri di Egidio Bonfante, il giallo delle Jumbo di Alberto Rosselli e i variegati delle fotografie di Paolo Rosselli. Nei disegni di Stefano Rosselli c’è tutta l’energia dell’ora, del nuovo: le strade sono più verdi, i cieli sono rosa e le facciate cangianti. Dove il tratto appare più leggero e il colore è una velatura appena accennata c’è il futuro in costruzione”.
Pur con autorevoli rimandi artistici, il lavoro di Stefano Rosselli ha una sua decisa autonomia che si ritrova anche nelle espressioni più intime degli interni casalinghi, delle piccole cose che vanno comunque ricercate e collocate, per potersene appropriare in modo originale e vitale.
Le dimensioni più intime si ritrovano nei quaderni disegnati e dipinti a mano che corredano come testimonianza ulteriore una mostra che merita di essere visitata.
Distoglietevi per un attimo dal caotico narcisismo di corso Buenos Aires e della città peggiore per trovare, voltato l’angolo, una visione nuova e diversa di un mondo a cui ci piacerebbe appartenere.
Another Milan 
Massimo Cecconi, 2018

(Eng)
The exhibition space that opens its lights on Spallanzani Street is called “Space” tout court and we will have a chance to talk about it soon.
It hosts until February 23 an exhibition of very colorful drawings by Stefano Rosselli, a young artist (born 1985) with studies in architecture and agriculture who expresses himself fully through painting.
From a good, indeed very good family, he counts Gio Ponti, Egidio Bonfante, Alberto and Paolo Rosselli among his closest relatives, and that must mean something.
Stefano Rosselli reinterprets the city's reality in his own way, loading his sharp drawings with color, working with watercolors, markers, Inks and oil pastels to render a dreamily optimistic image of Milan.
Personal are his perspectives and viewpoints that while not distorting reality reinterpret the new Milanese skylines with some references to Balla and Boccioni and even Seurat and Van Gogh in a prolific overview that takes into account an engaging and shareable chromatic excitement.
Mariana Siracusa, head of “Spazio,” writes in the exhibition's elegant presentation brochure, “We find this dense dialogue in Stefano Rosselli's Milanese landscapes. In his city we find the blues, greens, reds and yellows of Gio Ponti's house on Via Dezza, the saturated oils of Egidio Bonfante's paintings, the yellow of Alberto Rosselli's Jumbos and the variegates of Paolo Rosselli's photographs. In Stefano Rosselli's drawings there is all the energy of the now, of the new: the streets are greener, the skies are pink and the facades iridescent. Where the stroke appears lighter and the color is a barely noticeable glaze there is the future under construction.”
Even with authoritative artistic references, Stefano Rosselli's work has its own decisive autonomy that can be found even in the most intimate expressions of home interiors, of the small things that must nevertheless be sought out and placed, in order to take possession of them in an original and vital way.
The most intimate dimensions are found in the hand-drawn and hand-painted notebooks that accompany as further testimony to an exhibition worth visiting.
Turn away for a moment from the chaotic narcissism of Corso Buenos Aires and the worst of the city to find, turned the corner, a new and different vision of a world to which we would like to belong.



Translation: Christopher Huw Evans